martedì 10 febbraio 2015

Wilderness (in un paese dove la felicità è sposata al silenzio) di Antonello Tolve #1

Il fascino di un viaggio, suggerivo un po' di tempo fa ripensando L'invitation au voyage di Baudelaire[1], è rappresentato dalla «nostalgia di un paese mai visto», dalla curiosità, dal piacere che si nutre nell'attesa di giungere ad una destinazione, dall'intento di esplorare (di cercare) un vero paese «dove è dolce respirare la vita»[2]. Ma anche da una speranza, da un desiderio di trovare, dopo una lunga (o breve) peregrinazione alla ricerca di qualcosa. Forse semplicemente di ritrovarsi, di riscoprirsi (e ripensare alla propria fantasia), di rileggere il proprio corpo a corpo con la natura delle cose e di costruire un taccuino interiore, di creare un diario intimo – e proprio perché intimo, realmente prezioso.
Sin dai suoi primi progetti e lavori, Daniele Girardi ha riposto fiducia nel in questa condizione sottile – la condizione del viaggiatore e dell'esploratore, più precisamente – per produrre itinerari estetici la cui natura formale si nutre di prefissi climatici, ambientali, socio-antropologici.




[1]   Cfr. A. Tolve, Il potere infinito delle eterotopie, in «arshake.com», linkato il 5 gennaio 2015, ore 18.57.
[2]   Ch. Baudelaire, L'invitation au voyage, in «Le Présent», 24 agosto 1857; trad. it., Id., Opere, a cura di G. Raboni e G. Montesano, con una Introduzione di G. Macchia, Mondadori, Milano 1996, p. 411.
                                                                  
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